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(di Francesca Piro)

Da anni ormai facciamo prelievi in mare per raccogliere campioni di acqua marina contenente anche il plancton. Ma cosa significa questa parola? E perché ci stiamo occupando di questo? Da bambini abbiamo imparato che il plancton è il principale nutrimento delle balene “animali così enormi che si nutrono di orgamismi così minuscoli?” L’immagine ci faceva sorridere e ci meravigliava. Plancton in greco significa vagabondo e la parola descrive perfettamente questi microscopici organismi fito-zoocellulari. Hanno una densità corporea simile a quella dell’acqua e cià consente loro di galleggiare adeguatamente, ma mancando di una sufficiente capacità di muoversi, non possono nuotare controcorrente. Ciò fa sì che la loro circolazione nell’ambiente marino sia strettamente e realisticamente correlata alla colonna d’acqua che li trasporta e possono quindi essere considerati una vera cartina tornasole dello stato delle acque. Il sangue del mare, tessuto connettivo liquido, esattamente come il sangue animale o la linfa degli alberi.

 Il plancton è rappresentato da organismi molto diversi: alcuni sono uni-cellulari e visibili solo al microscopio, altri invece sono grandi e ben riconoscibili, come le meduse. In un campoone di acqua di mare possono quindi coesistere migliaia di tipi di plancton, tutti diversi per forma, dimensioni, cellularità. Molti di loro, inoltre, si presentano con la stessa funzione nell’ambiente, che sia predatore o consumatore, erbivoro o produttore. Di questo aspetto i ricercatori non hanno ancora ben chiari i dettagli. Una sorta di “esuberanza, sovrabbondanza di ruoli” non ancora completamente spiegata.

Il plancton e l’uomo vivono insieme da oltre 200mila anni. Nelle leggende e nelle tradizioni dei popoli il plancton è talvolta comparso come fenomeno inspiegabile: acque di un lago che si colorano di rosso o lungo le rive dei mari tropicali, brillanti di luce come piccolissimi fantasmi d’acqua. A ciascuno di questi fenomeni è stata legata una storia, una favola, una proibizione divina, un oracolo. 

image2 1Da allora molto è cambiato e nel corso dei secoli il plancton si è spostato ovunque nelle acque, comparendo in mari sconosciuti o svanendo nel nulla improvvisamente. Dal 1940 ai nostri giorni, il plancton vegetale negli oceani è diminuito di circa il 40%, con ogni probabilità a causa dei cambiamenti climatici indotti dai gas serra che hanno modificato, in un circolo vizioso, la temperatura dei mari. Tanto maggiore è la temperatura dell’acqua, tanto minore è la possibilità per i fitoplancton di ricevere nutrimento dalla circolazione acquatica verticale – la cui spinta è data proprio dal gradiente di temperatura con l’ambiente aereo – e quindi di crescere e di richiamare carbonio dall’atmosfera per la fotosintesi. Meno fitoplancton, meno fotosintesi, maggior quantità di carbonio nell’atmosfera, il mare è sempre più povero, il plancton scompare.

Però… però c’è ancora una possibilità: uno dei punti di forza del plancton è proprio la sua biodiversità che gli consente un’ampia scelta di soluzioni funzionali alla vita e di reazione agli attacchi dall’esterno. La diversità favorisce la stabilità della comunità, perché le risorse sono condivise in maniera efficace e personalizzata in base alle esigenze di ciascun individuo.

image1E allora? allora perché studiare il plancton, se questo ha già di per sé, nella sua biodiversità, tutte le capacità di sopravvivere? Perché la sua diversità è minacciata. E il nemico è sempre lo stesso: l’uomo.

Le attività umane introducono nell’ambiente sostanze minerali che espongono le acque – soprattuttute quelle dei bacini chiusi, dei laghi e dei litorali – alla proliferazione di specie “opportuniste”, ridudendo quindi la biodiversità planctonica. Inoltre, anche il plancton è vittima del fenomeno delle microplastiche, poiché alcuni microrganismi planctonici come i copepodi scambiano i frammenti di plastica per i nutrienti della loro dieta.

Ecco perché Progetto Mediterranea ha deciso di occuparsi di mappatura del plancton e contribuire così alla ricerca già in atto per lo studio di questo meraviglioso mondo, così ampio e variegato nella sua presentazione nel nostro Pianeta.

Ci hanno detto una volta: Il fitoplancton è l’innesco primario della maggior parte della vita acquatica, ma anche di quella terrestre, poiché gran parte della popolazione mondiale si nutre di pesce” e in effetti si legge che per avere mezzo chilo di alici vive c’è necessità di due chili di plancotn animale che deriva dal consumo di dieci chili di plancton vegetale. In sostanza, dodici chili di plancton per una grossa manciata di alici.

Ecco. Noi vorremmo continuare a vedere le alici “fare il pallone”. 

Le acciughe fanno il pallone / che sotto c’è l’alalunga  / se non butti la rete  / non te ne lascia una [Fabrizio De Andrè, Le alici fanno il pallone]